SENZA
TITOLO
“Padre Vidai, alla buon'ora.”
Il tono pacato di Eymench era tutt'altro
che rassicurante, soprattutto per il giovane domenicano che era appena entrato
nell'aula del Tribunale.
“Perdonate, Magister,
ma...”
“Non fatemi perdere
altro tempo con le vostre scuse inutili. Come vedete, ho un prigioniero da
interrogare. Padre Soler stamani è partito per Avignone, così vi ho fatto
chiamare affinché con la presenza di un altro confortatore la seduta sia
regolare. Non ho bisogno altro, da voi, che vi sediate e ascoltiate.”
Le ultime parole di
Eymerich furono accompagnate da uno sguardo eloquente. Mentre padre Vidai
prendeva posto tra il notaio e l'anziano padre Moreno, Eymerich si avvicinò al
prigioniero, un ragazzo sui quindici anni che era già stato denudato e legato
per i polsi, in previsione e minaccia dei tratti di corda.
“Ora che l'uditorio è
al completo, dovrai ripetermi quanto hai già confessato informalmente, affinchè
le tue dichiarazioni siano verbalizzate. Se ti comporterai bene, mastro Enrique
non sara costretto ad usare le corde.”
L'unico segno di
risposta che provenne dal corpo emaciato fu un flebile singhiozzo.
“Comincia col
dichiarare al notaio il tuo nome e la tua provenienza,” proseguì Eymerich.
Dopo un attimo di
esitazione, il prigioniero prese forza e rispose:
“Miguel de Patemoy,
figlio di don Ruiz de Patemoy, della città di Escatròn nel Regno d'Aragona,
appartenente all'ordine dei predicatori domenicani.”
“Un domenicano!”
mormorò allibito padre Vidal rivolto a padre Moreno, ma l'anziano frate gli
fece garbatamente cenno di tacere.
“Non per molto, ve lo
garantisco,” ironizzò Eymerich. “Sapete di cosa siete accusato?”
“Si. Mi si accusa di
aver aderito all'eresia di padre Ramon de la Calle, quale che essa sia.”
Padre Vidal rimase
nuovamente sconcertato. Il nome appena pronunciato era quello di un esimio
insegnante della Scuola Ecclesiastica di Barcellona, non certo di un eresiarca!
La durezza impressa sul volto del confratello a lui vicino lo fece però
desistere dal chiedere lumi.
“E come ti dichiari
in merito all'accusa?” incalzò l'Inquisitore.
“Innocente!” proruppe
il giovane scoppiando di nuovo in lacrime.
“Non mi sarà
difficile dimostrare il contrario. Quando hai incontrato padre Ramon per la
prima volta?”
“Meno di sei mesi fa.
Un anno prima avevo preso i voti ed ero giunto a Barcellona per proseguire gli
studi alla Scuola Ecclesiastica. Durante il primo anno avevo sentito molto
parlare dell'operato di padre Ramon. Il suo era un nome stimato.”
“Ancora per poco,”
commentò Eymerich.
Padre Vidal
improvvisamente ebbe l'impressione di capire la scena. Si rammentò infatti di
alcune maldicenze che circolavano nell'ambiente ecclesiastico secondo le quali
l'illustre cerusico avrebbe avuto un'insana predilezione per i giovani novizi
imberbi. Voci certamente infondate, dovute forse al fatto che il medico era
solito accompagnarsi con i suoi giovani studenti, cosa tra l'altro più che
normale. Anche l'inquisitore Eymerich, però, che pure disprezzava la pratica
del pettegolezzo, non poteva essere rimasto ignaro di certe malignità. Il
giovane prigioniero era dunque un allievo di Ramon, che Eymerich considerava caduto
nella più snaturata lussuria. Eppure aveva udito il termine ben preciso di
eresia
“Come siete venuto in
contatto con padre Ramon?”
“E avete il coraggio
di chiedermelo?!” sbraitò il prigioniero con inattesa energia. “Siete stato voi
ad ordinarmi di avvicinarlo!” urlò tra le lacrime.
“Io vi ordinai di
mescolarvi ai suoi allievi per spiare i suoi turpi inganni e riferirmelì, non
per aderire in piena coscienza al peccato!” inveì Eymerich con altrettanta
energia.
“Padre Eymerich,
abbiate pazienza,” osò padre Vidal timoroso, “ma dovreste mettermi al corrente
di alcune cose, se volete che possa seguire questa seduta.”
Pur seccato per
l'interruzione, Eymerich ammise malvolentieri:
“Sì, è comprensibile.
Padre Moreno, spiegategli la situazione, ma siate breve.”
“Sappiate, dunque,”
esordì l'anziano frate, “che eravamo a conoscenza di voci troppo vaghe circa
l'attività di studio di padre de la Calle. In particolare, pare che si stesse
dedicando a certi esperimenti... medici, nei quali si faceva assistere da
giovani studenti, ma sui quali non voleva discutere con i colleghi anziani o
scrivere trattati. L'argomento, comunque, parrebbe non essere molto ortodosso.”
Nelle parole di padre
Moreno, padre Vidal ravvisò una qualche allusione alle dicerie da lui stesso
raccolte, senza tuttavia che esse fossero esplicite.
“Era chiara la
necessità di un approfondimento, ma la posizione eminente dello studioso, che
può vantare amicizie potenti, rendeva impossibile un approccio diretto.”
“Avreste potuto
interrogare i suoi studenti,” osservò padre Vidal.
“L'idea non è
attuabile,” lo rimproverò padre Moreno. “Essi appartengono a influenti famiglie
della nobiltà locale che non sarebbe opportuno infastidire in questo momento:
re Pietro ha annunciato una spedizione in Sardegna per l'anno prossimo, per la
quale avrà bisogno del sostegno dei nobili. In cambio, sarebbe pronto a
concedere qualunque favore alla nobiltà.”
“Non è questo il
punto,” lo interruppe infastidito Eymerich. “L'autorità che rappresentiamo non
ha da render conto che a Dio e al Papa. Il vero problema è che ci sarebbe stato
impossibile usare certi metodi prima di sapere su cosa basare le accuse; e
senza questi metodi,” proseguì alludendo al prigioniero stremato,
“difficilmente avremmo ottenuto qualcosa. Ramon è abile nel manipolare l'indole
docile dei ragazzini, e il nostro indegno emissario, qui, ne è una prova.”
“E voi avete
incaricato di un compito tanto delicato un novizio inesperto?” chiese padre Vidal.
“Avreste potuto voi
passare per uno studente?” ribattè Eymerich stizzoso. “O forse avrei dovuto
incaricare padre Moreno?”
Padre Vidal chinò il
capo e mormorò: “Comprendo.”
“Di certo sono
colpevole di leggerezza, nell'essermi affidato al priore per la scelta di un
novizio capace e fidato,” sibilò duro Eymerich rivolto al prigioniero. “Non
sopporto di delegare compiti importanti, ma come vi ho spiegato non avrei
potuto occuparmene di persona. In seguito alla mia imprudenza, questo idiota è
caduto in peccato mortale.”
“Ma come farvelo
capire?” ribattè infervorato il prigioniero. “Non v'è alcun peccato negli
insegnamenti di padre Ramon!”
“Bada alla tua anima,
miserabile!” lo ammonì Eymerich. “Sono giorni che ti prendi gioco noi dichiarandoti
prima innocente e confessando poco dopo le tue luride colpe!”
“Non mi prendo gioco
di nessuno. Siete voi a non voler capire la rettitudine dei suoi studi,” ardì
il giovane rancoroso.
“Spiegacela tu,”
riprese pazientemente Eymerich.
Il giovane reclinò il capo esausto. Pareva evidente che
fosse stato costretto a rispondere alle stesse domande più volte, probabilmente
nel tentativo di farlo cadere in contraddizione.
“Padre Ramon non
predica alcun credo in contrasto con la Chiesa. Il suo studio medico èvolto
alla comprensione delle capacità sconosciute dell'uomo. Egli ha scoperto,
esplorando il corpo, come sprigionare l'anima e le sue potenzialità recondite!”
“Siamo al delirio!”
vociò padre Moreno battendo irritato il pugno sul tavolo, ma Eymerich gli fece
cenno di tranquillizzarsi.
“E così, Ramon si
serve degli studenti per le sue... esplorazioni del corpo?” insinuò.
“Sì,” rispose il
giovane senza cogliere la pesante insinuazione. “Egli sostiene che i corpi più
giovani siano maggiormente sensibili alle stimolazioni, e le anime meno
ancorate alla carne.”
“Padre Nicholas, non
permettetegli simili bestemmie!” sbottò ancora padre Moreno.
“E nel dettaglio,”
proseguì sicuro l'Inquisitore, “quali sarebbero queste potenzialità?”
“Sono innumerevoli.
Ho assistito ad eventi prodigiosi, quali la guarigione dei malati, la
trasmissione di pensieri a distanza, la visione nitida di oggetti al buio, o
ancora la possibilità di distaccarsi dal corpo mortale e librarsi invisibili al
di sopra delle cose...”
“Basta! Tu
farnetichi, ispirato dal demonio tuo signore!”
Padre Moreno era
balzato in piedi, al colmo dello sdegno, rivelando un'energia sopita. Lo stesso
Eymench esitò prima di imporgli la calma:
“Lasciatelo parlare,
padre Moreno. Le sue menzogne qui non possono nuocere.”
“Voi non mi credete,
ma quanto vi ho detto è vero! L'ho sperimentato di persona!”
“Oh, ma io vi credo,
invece. Non metto in dubbio che voi abbiate sperimentato quanto dite. Satana è
signore degli inganni, non gli è certo difficile illudere i suoi adoratori. Se
comunque siete convinto di quanto sostenete, per quel che mi riguarda siete
libero. Il vostro corpo rimarrà legato qui a subire la giusta condanna, ma la
vostra anima potrà librarsi dove più le aggrada.”
“Voi siete un
demonio!”
“Non io, ma voi. Non
vi rendete conto che, dopo aver tradito la nostra fiducia, ora tradite quello
che considerate il vostro maestro, firmando con la vostra testimonianza la sua
condanna? In effetti,” soggiunse malignamente, “non potevate offrirmi servigio
migliore.”
“Oggi potete
sterminarci, ma verrà un giorno in cui il mondo sarà pronto ad uscire dal buio
che imponete e capire l'importanza delle nostre conquiste! Dispero ormai di
farvi capire: potete anche torturarmi, ma non mi caverete più nulla.”
“Mastro Enrique,”
ordinò mentre il prigioniero scoppiava nuovamente in lacrime, “ordinate alle
guardie di condurre qui l'altro prigioniero. E tu smettila di piagnucolare;
dovresti essere contento: tra pochi minuti rivedrai il tuo maestro.”
La
targa sulla porta recitava semplicemente "Prof Baccelli ". Nessun
altro titolo, nessuna carica, ma la consapevolezza di trovarsi davanti all
'ufficio del presidente dell 'Accademia di Medicina di Roma colmava il giovane
professore di inquietudine.
Dall'altro lato della
porta, l'anziano professore diede un 'ultima occhiata alla copertina della
pubblicazione che aveva davanti a sé sulla scrivania: "Giuseppe Calligaris
- Anomalie sulla sensitività del Sistema Nervoso ". La prese in mano
esitante, poi la ripose nuovamente senza sfogliarla. Si alzò per aprire la
porta e fece un cenno al giovane ricercatore che attendeva fuori affinchè
entrasse.
“Dire che sono
perplesso sarebbe un eufemismo,” esordì non appena tornato al suo posto.
Calligaris prese
timidamente posto su una poltrona in pelle antistante la massiccia scrivania,
avendo cura nascondere il tremore alle mani.
“In questi giorni ho
riletto la vostra pubblicazione. Formalmente trovo che sia ineccepibile, dal
punto di vista del contenuto però...“ aggiunse esitante, “la trovo, se non
improbabile, quantomeno stravagante,” concluse rilassandosi.
Calligaris deglutì,
cercando di pensare ad una risposta arguta, ma non fu necessario.
“Lasciate che mi
spieghi,” proseguì Baccelli. “Avevo già sentito parlare di voi, a cominciare
dalla vostra brillante tesi di laurea del 1901...”
“ Il
pensiero che guarisce,” osservò prontamente Calligaris.
"…che guarisce,
appunto.. fino alla vostra collaborazione con il professor Mingazzini
all'Istituto di Neuropatologia. Pur giovane avete un curriculum invidiabile.
Eppure...”
“Eppure avete
l'impressione che le mie siano solo fantasie, esatto?” intervenne ansioso.
“Ecco, 'fantasie’ e
una stroncatura ingiusta. L'argomento è interessante e varrebbe la pena
approfondirlo. Il vostro trattato, invece, si fa troppo spesso vago e lacunoso,
come se non sapeste nemmeno voi dove arrivare.”
“Ma i miei studi sono
agli inizi!” protestò. “Finora mi sono limitato a raccogliere le mie
osservazioni su ammalati affetti da disturbi e lesioni del sistema nervoso.
Avrò bisogno di più tempo per elaborare una teoria completa e compiere gli
esperimenti necessari.”
“Il problema,
professore, è l'argomento da voi affrontato. Non nascondo che abbia un certo
fascino, ma converrete con me che parlare di guarire il cancro attraverso
condizionamenti della psiche, al nostro Rettore potrebbe provocare una certa disapprovazione.”
“Non se voi mi
sosterrete. Anche il professor Mingazzini è pronto a farlo: insieme non vi sarà
impossibile farmi avere i mezzi per proseguire nelle ricerche. Gli orizzonti
che ci si potrebbero aprire sarebbero illimitati!”
“L 'entusiasmo non vi
fa difetto. Come sapete, avevo disposto una commissione per esaminare le vostre
teorie. Le loro conclusioni concordano con le mie: non siete stato in grado di
dimostrare tutte le vostre asserzioni, ma questo non significa che esse non possano
essere plausibili. Avete il nostro incoraggiamento per proseguire.”
Dopo che Calligaris
ebbe preso commiato, profondendosi in ringraziamenti, Baccelli rimase solo nel
suo ufficio a fissare non persuaso la pubblicazione che era rimasta sulla sua
scrivania. Poi, con un sospiro, aprì il primo cassetto e la fece scivolare
dentro.
Della
figura autoritaria di padre Ramon de la Calle non avanzava più nulla. L'uomo
che fino a poco tempo prima poteva girare altero e imponente per le vie di
Barcellona appariva ora come un vecchio logorato, svuotato di ogni energia.
Padre Vidal ebbe il sospetto che l'anziano frate fosse già stato sottoposto a
tortura, ma scartò presto l'ipotesi per concludere che talvolta il murus arctus
è più che sufficiente a sfiancare un uomo.
Trascinato da due
guardie, Ramon venne posato con rudezza sullo scomodo sgabello predisposto per
lui e lasciato all'Inquisitore. Questi, dopo essersi piazzato davanti al
prigioniero con un'espressione di disprezzo dipinta in volto, intimò:
“Ramon de la Calle,
guardate bene chi avete di fronte!”
Ramon alzò la testa,
cercando di mettere a fuoco l'Inquisitore. Ma non era questo che Eymerich
intendeva mostrargli: scostandosi di lato, rivelò all'imputato la presenza del
suo allievo, affidato alla custodia del carnefice. Ramon parve risvegliarsi dal
sonno quando, spalancando gli occhi, riconobbe Miguel.
“Conoscete questo
degenerato?” lo interrogò Eymerich.
“I degenerati siete
voi!” biascicò Ramon. “Miguel non avrebbe mai fatto male a nessuno, voi invece
lo avete sottoposto alle vostre crudeli torture. Siete dei mostri,” aggiunse
con tono grave.
“Sia messo a verbale
che l'imputato ha riconosciuto l'accusatore. Ma sappiate che non gli è stato
ancora torto un capello. La sua salvezza, ora, dipende da voi.”
“Nicholas Eymerich,
non giudicatemi così ingenuo. In cuor vostro, avete già emesso una sentenza che
non prevede appelli.”
Padre Vidal ebbe un
intimo moto di stima per quell'uomo, che pur piegato nel corpo manteneva
lucidità e prontezza invidiabili.
Eymerich, per contro,
rimase infastidito, come sempre quando qualcuno pretendeva di sondare il suo
animo. Proseguì senza modificare la strategia:
“Vi sbagliate. La
Chiesa è giusta ma sa anche perdonare. Posso giurarvi che davanti a un sincero
pentimento il Signore salverà le vostre anime. Confessate, dunque. Tenete
presente che io già conosco la verità, raccontatami dal vostro allievo, ma devo
sentirla da voi a testimonianza del vostro pentimento.”
“Non mentite, voi non
sapete tutto. Fingete di conoscere ogni dettaglio perché io parli con
rassegnazione, ma certi giochetti sono inutili. Chiedetemi apertamente quello
che vi interessa, io non ho più nulla da nascondere.”
Pur irritato dalla
sfrontatezza, Eymerich dovette riconoscere la levatura dell'avversario:
“Come volete. Ho
udito dalla bocca di quello stolto le assurde e blasfeme fandonie che voi gli
avete ispirato. Spiegatemi come inducete i vostri adepti a credere a simili
empietà.”
“Siete fuori strada.
Io non predico un credo, non cerco adepti, ma anelo alla conoscenza, adoperando
gli strumenti che il Signore mi ha concesso. Durante i miei esperimenti ho
appreso come in tutto il corpo umano si intersecano linee e punti sensibili
attraverso i quali è possibile svincolare l'anima dalla carne ad accedere alle
sue piene potenzialità. Mi sono servito come collaboratori di giovani studenti,
poichè in loro le energie dello spirito scorrono più forti. Attraverso la
stimolazione metodica della pelle nei punti sensibili e facendo ripetere
semplici litanie, io posso dischiudere le vie della conoscenza!”
“Voi avete aperto i
cancelli dell'Inferno!” sbottò Eymerich, con la piena e indignata approvazione
di padre Moreno.
Poi proseguì rivolto
ai confratelli, “Avete sentito dalle labbra di quest'anima persa la conferma ai
più turpi sospetti: l'ignobile plagiatore si serve di giovani suggestionabili
per i suoi rituali sabbatici. Li fa spogliare per meglio stimolare quelli che
chiama ‘punti sensibili’,” disse al colmo del disgusto, ”e fa ripetere loro
delle ‘litanie’, senza dubbio formule magiche e invocazioni demoniache. Non c'è
speranza nè per la sua anima, ne per quelle di tutti i suoi allievi.”
“Ramon de la Calle,
questo Tribunale non vede in voi alcuna traccia di pentimento. Pertanto non mi
resta che pronunciare la sentenza definitiva.”
“Risparmiateci il vostro verdetto, grande
Inquisitore,” intervenì Ramon con sorprendente tono di sfida. “Il nostro
destino era già deciso da tempo, e noi siamo pronti ad accettarlo, ma non per
mano vostra. Miguel, raccogli le tue ultime energie, e mostra a questi
increduli le vie dello spirito.”
Tutta l'assemblea
aveva dimenticato il giovane, rimasto accasciato sul suo sgabello e
apparentemente estraniato dalla situazione. Volgendosi verso di lui lo
trovarono rinvigorito: seduto in posizione eretta, i polsi legati dalle corde,
contorceva le mani in una posizione innaturale per arrivare con il dito medio
destro a fare pressione sul dorso della mano sinistra. La cosa sarebbe sembrata
grottesca, ma l'espressione assente del viso e gli occhi aperti in una sottile
fessura che lasciava intravedere solo il bianco riempirono di sgomento i frati.
Dalla bocca del giovane, esalava flebile una cantilena incomprensibile.
Improvvisamente,
lunge lingue di fuoco divamparono avvolgendo Miguel in una intreccio mortale.
Sembrava che le fiamme scaturissero dall'interno del suo corpo, ardendo con
violenza e saturando presto l'aria dell'acre lezzo di carne bruciata.
Avviluppato nella vampa, Miguel ebbe la forza di alzarsi e di lanciarsi verso
il banco dei giudici. Nel fare ciò, appiccò il fuoco alle carte sparse sul
tavolo del notaio, che da lì si propagarono verso i drappeggi appesi alle
pareti. In breve, l'aula divenne un inferno soffocante. Fu il panico.
Padre VidaI cercava
disperatamente di guadagnare l'uscita attraverso le fiamme tirandosi dietro
l'anziano padre Moreno, mastro Enrique e le due guardie, su ordine di Eymerich,
si precipitarono a dare l'allarme, mentre Ramon contemplava rapito la scena.
Eymerich, più adirato che spaventato, gli si scagliò contro furioso:
“Questa è opera del
demonio!”
“Questo è il
compimento del disegno divino. Moriremo arsi dalle fiamme com'era nostro
destino, ma non sul vostro rogo!”
“Come desiderate,”
ringhiò Eymerich afferrando Ramon per le vesti, senza che questi opponesse
resistenza, e spingendolo tra le fiamme, dove il corpo di Miguel si contorceva
negli ultimi spasmi dell'agonia. Infine, tossendo per la mancanza d'aria, si
lanciò verso l'uscita scavalcando incurante i due frati e il notaio che
arrancavano faticosamente nella stessa direzione.
Nello
studio della villa a Magredis, Giuseppe Calligaris leggeva irritato la lettera
giunta quella mattina dall'ultima casa editrice contattata:
"...per la
serietà e la professionalità che hanno contraddistinto il nostro decennale
lavoro. Pertanto non solo le rifìutiamo la pubblicazione di tesi tanto
infondate quanto indimostrabili, ma le consigliamo per il futuro di rivolgersi
ad altri editori maggiormente aperti al genere del fantastico o, nel suo stesso
interesse, a qualche luminare della psichiatria."
Decennale lavoro…
come se il suo operato non potesse vantare altrettanta fama! Correva il 1931, e
lui aveva dedicato ormai trent 'anni della sua vita alla ricerca per venir
trattato a quel modo!
Ma c 'era poco da
lare. Se un tempo il mondo accademico lo aveva accolto come una promessa, ora
lo disdegnava come un folle delirante. Lettere come quella erano ormai
consuete, da quando era riuscito faticosamente a far pubblicare le sue tesi
sulla stimolazione delle placche cutanee, le esperienze extrasensoriali e i
fenomeni di autocombustione. Escluso dalla società scientifica, era finito per
isolarsi nella sua villa vicino a Udine con i pochi allievi rimastigli fedeli.
“Professore, noi
abbiamo fiducia in lei, ma siamo preoccupati.”
Calligaris trasalì,
poi si volse con un sorriso impacciato:
“Michele, non ti
avevo sentito entrare.”
Poi, seguendo lo
sguardo del giovane aggiunse:
“Sì, è un altro
rifiuto. Ma non temete, non basterà a scoraggiare i nostri studi. Oggi possono
ignorarci, ma verrà un giorno in cui il mondo sarà pronto ad uscire dal buio a
comprenderci.”
Detto questo,
appallottolò la lettera e la gettò nel cestino, poi sospirò:
“Ora lasciami solo.”
E restò a contemplare il tramonto su quel mondo sconsiderato.
“Magister, ma cosa è successo?
Padre Vidal, al
sicuro sullo spiazzo antistante il Tribunale, era ancora livido in volto. Esili
fili di fumo si innalzavano dalle feritoie del palazzo e alcuni famigli erano
ancora intenti a portare gli ultimi secchi d'acqua attinti direttamente dal
mare. Eymerich lo guardò sottecchi, poi pronunciò calmo:
“Per una volta, il
demonio si è visto con le spalle al muro e ha rinunciato alla lotta.”
“Deve essere così. Le
fiamme sembravano bruciarlo dal di dentro.”
“Perché provenivano
dalla sua anima dannata. Venite, il fuoco è spento, vediamo di recuperare i
documenti che si sono salvati. Questo processo è chiuso, ma voi mi aiuterete
nel giudizio dei due demonolatri rinchiusi nelle celle.”
Mentre lo osservava
dirigersi imperterrito verso il Tribunale, padre Vidal ebbe un brivido: come
poteva Eymerich essere così impassibile nonostante quello che era appena
successo? Evidentemente, aveva molto da imparare, dal grande Inquisitore.